Referendum costituzionale, ci sviano ancòra dal nocciolo della questione
Stavolta, c’è qualcuno che l’ha fatta grossa.
E come nell’intera “partita” relativa a questo referendum costituzionale, si tratta di un episodio che non c’entra assolutamente nulla con quel che dovrebbe essere l’unico e solo pensiero dei nostri politici, di chi amministra i nostri Enti e soprattutto dei milioni d’italiani che il 4 dicembre si recheranno alle urne per confermare o bocciare la riforma costituzionale partorita dal governo Renzi… cioè
il merito della riforma.
Ecco, a farlo è stato un recidivo.
…E il recidivo è proprio lui, il presidente del Consiglio dei ministri e segretario nazionale del Partito democratico.
Sì, perché all’inizio di questa partita referendaria ci sono stati due gravi errori, forse dolosi. Il primo, specifico da parte del premier Matteo Renzi, è d’aver piazzato come “posta in gioco” le sorti personal-politiche sue e del suo Governo (sùbito seguìto a ruota, lo ricorderete di certo, dal fedelissimo ministro alle Riforme Maria Elena Boschi): grave, perché la permanenza di Renzi alla guida dell’Esecutivo non c’entra un tubo col merito della riforma costituzionale varata dal suo Governo, grave però anche perché davvero dilettantesco sotto il profilo squisitamente politico (un referendum si può anche perdere, ma senza che per questo si debba ritenere che la maggioranza degli italiani, o tantomeno dei parlamentari…. e nel nostro sistema la fiducia non viene assegnata “a elezione diretta”, ma viene rinnovata in Parlamento…., non sostenga più il Governo nella sua azione).
Poi era venuta la seconda fase: quella in cui, avendo ben capito sulla scia di una lunga sequenza di sondaggi che “buttava male” e l’esito del voto referendario era – almeno – incerto, il premier e l’intera maggioranza (tranne ovviamente i fautori del “no”) hanno iniziato a dire che era stato un errore, una svista d’impeto, e che senz’altro l’esito del voto del 4 dicembre non avrebbe inciso direttamente sul futuro politico-istituzionale di Renzi e del Paese.
Ne era nata un’ovvia querelle: perché nell’agone elettorale, spesso famelico, molto spesso popolato da incompetenti, una volta che un politico di primo piano “lancia” un tema ghiotto, è chiaro che poi non può mai e poi mai “rimangiarselo” come se nulla fosse: altrimenti, ricorderebbe un buon Silvio Berlusconi d’annata…, quello dei bei tempi che sparava qualsiasi fregnaccia e poi, una volta capito forte e chiaro d’averla “cannata”, tentava (in realtà, con scarsissimi risultati) di far passare il messaggio d’esser stato “frainteso”.
Ovviamente, invece, gli artefici del “no” referendario avevano tutto l’interesse a rinfocolare e alimentare a ogni piè sospinto il tema del futuro del presidente del Consiglio come “esito politico” della partita del 4 dicembre, ben sapendo che perfino tra i sostenitori del “sì” in tanti, in troppi hanno dubbi potenti sull’opportunità di proseguire nelle politiche – nelle politiche economiche e sociali, soprattutto – dell’uomo di Rignano.
Ma la cosa più incredibile è che, dopo tutto questo lavorìo (riuscito, onestamente, solo in minima parte) per tentare d’accreditare la “conversione a U”, e cioè il dato che Matteo Renzi aveva sbagliato all’inizio a mettere in gioco la leadership a Palazzo Chigi sulla stessa riga della partita referendaria, ora dal premier arrivano nuovamente parole completamente contraddittorie: «Che ci siano conseguenze per il Governo è evidente» (cioè, il contrario esatto di quanto sostenuto nella “fase due”). E soprattutto, un imbarazzante: «Se vince il ‘no’, preparo i popcorn per vedere che succede dopo», come dire: dopo di me, il diluvio.
Incredibile ma vero: sconfessione dopo sconfessione.
….La più bruciante però è quella dei pretoriani.
Non solo siamo a sole 96 ore dal voto; da giorni, siamo nella fase della campagna elettorale in cui è proibito diffondere sondaggi d’opinione.
Il risultato è che nelle stesse ore, con incredibile “faccia di muro”, organi di stampa di dubbia autenticità, blog di attivisti e centinaia di profili Facebook rilanciano l’idea che “i veri sondaggi” propongano in queste ore un risultato molto diverso rispetto a quello enunciato dai sondaggi autorizzati, nella fase in cui questo era ancòra possibile.
Sia vero oppure no che le intenzioni di voto stanno andando in una direzione differente, il punto è che non si può fare.
Oltre al discutibile profilo deontologico: a parte le fonti confidenziali che tutti noi conosciamo…, spesso ben diverse anche per autorevolezza le une dalle altre, chi potrebbe mai stabilire quali sondaggi siano veri?
Eppure, ad opera di quella fazione referendaria, neppure una parola è stata tirata fuori per stigmatizzare un comportamento a dir poco singolare. A quattro giorni dal voto.