Caporalato, boicottaggio per l’agroalimentare italiano?
Alla luce dell’ingente caporalato che ammorba il bracciantato nella Piana e non solo, contribuendo alle disumane condizioni di vita in cui versano gli extracomunitari che lavorano in zona, da tempo alcuni Paesi europei si stanno chiedendo se non sia il caso di chiudere le porte (in via temporanea, si capisce…) ai prodotti agroalimentari italiani.
…C’è chi l’ha già fatto: dal 2013, la grande distribuzione organizzata in Norvegia ha messo al bando le cosiddette “produzioni non etiche”, realizzate cioè passando per lo sfruttamento della manodopera.
Da anni si batte per questo il migrante Yvan Sagnet (foto a sinistra) e in Italia, un anno fa, ha lanciato una petizione in questo senso l’associazione Terre Libere.
…Tutto si risolverà magicamente? Questo, purtroppo, è un altro paio di maniche. Anche perché – curiosamente… – gli stessi Paesi europei, “fratelli coltelli”, che oggi vorrebbero boicottare l’agroalimentare italiano in blocco, quasi in tutti i casi si sono “dimenticati” (diciamo così) di bloccare alle frontiere le centinaia di migliaia d’articoli con cui invadono i loro bancali le multinazionali più determinate nello sfruttamento.
Basti pensare ai famosi, costosissimi articoli sportivi firmati con lo swoosh, una sorta di baffo: beh, le prime proteste dei lavoratori sfruttati da quella casa produttrice lì in Vietnam (dove non è che siano famosi per le lotte sindacali…) risalgono al 2008.