La guerra delle arance. Amare…
La contraddittorietà scandisce questi tempi.
Ecco allora che mentre 8 connazionali su 10 si dicono disposti a pagare di più per consumare un made in Italy certificato (in tempo di crisi, eh…), a dispetto della mega-campagna condotta dopo i noti “fatti di Rosarno” – qui una “finestra” sulla vicenda, ma anche su come disastrosamente nulla ma nulla sia cambiato da quel gennaio 2010… – se volete, con una puntina di demagogia e con una massiccia dose di sano sciovinismo -, accadono cose incredibili, inascoltabili quanto alla percentuale d’arancia nei succhi di frutta (come tipicamente le aranciate industriali).
Da un lato, infatti, evidenzia in queste ore
Coldiretti (nella foto a destra, il giovane presidente nazionale Roberto Moncalvo) che «nel momento dell’acquisto per 8 persone su 10 è decisivo che il prodotto sia fatto con materie prime italiane e sia trasformato in Italia». Del resto… se l’Efsa, cioè la European food safety Authority (l’Autorità continentale per la sicurezza alimentare), ha sede in Italia (a Parma), un motivo ci sarà, no?
Dall’altro, proprio l’assai rappresentativa associazione degli agricoltori da anni conduce un’indefessa battaglia affinché proprio la Piana di Gioia Tauro, e gli agrumeti medmei in particolare, diventino più redditizi irrobustendo la filiera, certo, ma in primo luogo aumentando da parte delle multinazionali come la Coca-Cola (con la quale c’era stato un apposito incontro…) la percentuale di succo d’arancia nelle aranciate. Che, incredibile ma vero!, per valore economico rappresenta neanche uno smunto centesimo di euro per litro (venduto però a 1 euro e 30 centesimi).
Nell’ottobre scorso la svolta, tramite il comma 3 dell’articolo 17 della legge 161/2014, con l’emendamento (firmato Pd) alla normativa europea per innalzare la percentuale di succo d’arance dal 12 al 20%, però…. solo nelle aranciate prodotte in Italia.
Questo è un risultato a un tempo importante e paradossale… Mette infatti in luce il ministro alle Politiche agricole Maurizio Martina che «con l’intervento sulla percentuale di frutta nelle bevande, mettiamo in condizione la filiera agricola e quella alimentare di trovare una sempre maggiore collaborazione, in un’ottica di sistema». Ma associazioni importanti come x e y sono recisamente contrarie. Perché neppure c’è, nel nostro Paese, nella produzione di arance una mole di agrumi adatti all’impiego in questa chiave; e soprattutto perché, spiega il presidente di Federalimentare Filippo Ferrua Magliani (foto a sinistra), la norma approvata a Montecitorio risulterebbe incostituzionale in quanto «determina una discriminazione al contrario nei confronti dei produttori italiani».
Adesso anche il Citrag (Consorzio italiano industrie di trasformazione agrumi) di Pace del Mela, nel Messinese, si schiera con nettezza contro la maggior percentuale d’arance (nelle sole aranciate made in Italy). Motivo: le 250mila tonnellate d’arance bionde necessarie in caso d’innalzamento della percentuale di succo d’arancia nelle aranciate prodotte nel Paese (pari a 100 milioni di litro di succo di sole arance), in Italia semplicemente “non ci sono”.
E mentre la bagarre politico-economica raggiunge il suo acme, le arance improvvisamente tornano …amare.