#Regionali2014 – Le nomine, la surroga, lo scorno
S’è chiuso un paio d’ore fa il Consiglio regionale dedicato alla modifica della legge elettorale, varata a maggioranza e fra mille polemiche.
Il senso ultimo della battaglia d’aula è che mentre il centrosinistra compatto chiedeva di tornare esattamente alla normativa vigente prima della riforma del 3 giugno scorso, invece il centrodestra ha chiesto e “imposto” si mantenesse la piattaforma della legge elettorale riformata, per poi procedere soltanto (come da ordine del giorno) all’«adeguamento» del canovaccio legislativo ai rilievi formulati dai dipartimenti Interno e Affari regionali, scampando in questo modo ai probabilissimi – sicuri, diciamo – rigori di una sentenza della Corte costituzionale.
In mezzo all’articolatissimo dibattito sulla normativa elettorale, anche una sorta di “retroscena” che riguarda le nomine.
Questa disgraziata consiliatura regionale termina, infatti, anche con un profondo smacco per l’udiccino Franco Talarico. Il presidente dell’Assemblea è infatti l’unico, nelle ultime tre consiliature almeno, a non essere riuscito a condurre in porto le nomine di competenza del Consiglio regionale (tra i suoi pochissimi poteri, ormai, nell’epoca di Governatori prescelti a suffragio diretto…). E questo è certamente un portato da un lato dell’esasperato “trascinamento” di una consiliatura morta da mesi per via dell’esautoramento per via giudiziaria del presidente Peppe Scopelliti (condannato a 6 anni di carcere, in primo grado, per falso ideologico e abuso d’ufficio nel “processo Fallara”), ma dall’altro certamente anche della dialettica un po’ troppo marcata tra maggioranza e opposizione, con ben poche reali aperture alle istanze delle forze di minoranza da parte di chi a Palazzo Campanella aveva la forza dei numeri.
Il fatto è che da tre consiliature almeno (appunto) il nostro regionalismo malato non riesce neppure a incassare quello che, visto con gli occhiali del normalissimo cittadino-elettore, sarebbe un risultato piccino-piccino: che maggioranza e minoranza si mettano d’accordo quando c’è da sfornare le nomine per gli Enti subregionali.
E così, classicamente, decide qualcun altro; nel caso di specie, in surroga, il potere di nomina (fermo restando il rispetto delle prerogative “cencelliane” dell’opposizione) viene attribuito direttamente al presidente dell’Assemblea. Questo, soprattutto perché il busillis delle nomine, a fronte di centinaia di questuanti, di professionalità a dire il vero spesso latitanti…, molte volte diventava un rovello irrisolvibile malgrado dozzine di sedute in cui potersene occupare.
Era accaduto così ai tempi di Giuseppe Chiaravalloti (presidente del Consiglio regionale era l’oggi assessore ai Trasporti Luigi Fedele). Era accaduto così ai tempi di Agazio Loiero (quando nel ruolo c’era l’oggi consigliere piddino e fondatore di “A testa alta per la Calabria” Peppe Bova).
In teoria, tutto “complottava” affinché avvenisse anche stavolta…
Il capogruppo del Nuovo Centrodestra in Consiglio, Gianpaolo Chiappetta (foto a destra), tra le righe del suo intervento con la consueta eleganza aveva fatto “scivolare” anche una rapida, garbata richiesta che per le nomine in campo (dall’intero Consiglio d’amministrazione di Fincalabra, la finanziaria regionale, a due membri del cda della Fondazione Calabrogreca…) anche questa volta l’Assemblea si lasciasse volentieri espropriare di questi suoi magri, residuali poteri, visto che anche questa volta consiglieri di maggioranza e d’opposizione non s’erano messi d’accordo, consentendo a Franco Talarico (foto qui a sinistra) di sciogliere il nodo.
Stavolta, però, niente happy end.
Inizialmente, alla richiesta di Chiappetta durante la discussione generale ha replicato il capogruppo piddino Sandro Principe, facendo notare che per le nomine si era senz’altro fuori tempo massimo: «Abbiamo atteso tanto… ormai, attendere altri due mesi non sarà un problema».
Ma il tutto non era finito, bensì solo slittato a fine-seduta.
Una volta messa in carniere l’approvazione-bis della legge elettorale, la maggioranza di centrodestra è tornata alla carica. Sempre con Chiappetta.
A questo punto, però, la reazione del centrosinistra è stata assai meno “stilosa” che in precedenza: «Col Consiglio regionale in prorogatio, non c’è alcun motivo per procedere alle nomine. Se lo farete, noi ricorreremo in qualsiasi modo, impugnando questa decisione davanti alla magistratura amministrativa e penale», hanno quasi detto in coro i consiglieri dèmocrat Nino De Gaetano e Demetrio Naccari Carlizzi, evocando anche un parere della stessa burocrazia regionale che ha bloccato le nomine dei top manager della Sanità calabrese per lo stesso, identico motivo.
La Giunta regionale in prorogatio garantisce l’ordinaria amministrazione; l’Assemblea, i soli atti indifferibili e urgenti. Invece l’organizzazione di Aziende sanitarie provinciali e ospedaliere può utilmente ben andare avanti anche attraverso temporanei commissariamenti (cui si ricorre spesso, peraltro, per periodi ben più lunghi e motivi ben meno nobili che per il solo “traghettamento” verso il prossimo Consiglio regionale).
Risultato: niente intesa bipartisan, niente conferimento in surroga della facoltà relativa alle nomine… niente nomine.
Se ne parlerà solo all’inizio della prossima consiliatura.
Resta un retrogusto amaro. Lo stupore di un manrovescio – non meritato fino in fondo – al presidente dell’Assemblea in carica. E la spiacevole sensazione che le istituzioni calabresi, una volta ancòra, abbiano calzato le orecchie d’asino… e visti i precedenti, francamente non ce n’era bisogno.