Calabria, tutta la legge elettorale …”furbata” per “furbata”. Ah: intanto si vota (…in Emilia, però)
…Ma non vi vergognate?
Quattro anni e mezzo dopo il febbraio 2010 in cui Peppe Scopelliti stracciò, alle urne, il Governatore uscente Agazio Loiero, la gran parte dei calabresi la pensa indubitabilmente così. E purtroppo, la pensa così perché in questo lustro il prestigio delle istituzioni è crollato come mai era accaduto nei quarant’anni precedenti. Né questo è accaduto per una ragione sola.
Il punto #1 concerne l’effetto-trascinamento, rispetto alla precedente consiliatura: dopo quello che i maggiori media nazionali avevano bollato come il “Consiglio regionale degli indagati”, appariva francamente impossibile far peggio sotto il profilo etico; ma ugualmente agli occhi degli italiani (e dei calabresi) l’Istituzione regionale era ormai marchiata come un simpatico incrocio tra la Cayenna, Gomorra e Sing-Sing senza sbarre.
…E invece, punto #2, la consiliatura del delitto Fortugno e dell’arresto di Mimmo Crea è stata praticamente surclassata in questa chiave: dall’arresto per corruzione elettorale aggravata dalle modalità mafiose di Santi Zappalà (Pdl, condannato dapprima a 4 anni e in appello a 2 anni e 8 mesi per essere andato direttamente a casa del boss Peppe Pelle “Gambazza”, a chiedergli voti e supporto), all’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione e altri gravi reati di Franco Morelli (Pdl, destinatario solo tre mesi fa di una condanna a 8 anni e 3 mesi in appello, cioè ridotta di un mese appena rispetto al verdetto per lui negativo sancito in prima istanza dalla Corte d’assise di Milano) poi più relative severe condanne, all’arresto per truffa e voto di scambio di Antonio Rappoccio (Pri / Insieme per la Calabria / Scopelliti Presidente: truffa e voto di scambio fra gli addebiti mossi all’ex consigliere repubblicano, protagonista pure di una surreale “reintegra” a Palazzo Campanella durata alcuni mesi, dopo la scarcerazione ma prima della misura cautelare del divieto di dimora e della conseguente seconda sospensione dalla carica), all’esplosione trasversale di una Rimborsòpoli tra le più disonorevoli di quelle emerse in tutt’Italia fino alla poco divertente conclusione anticipata della consiliatura per via della pesantissima condanna (in primo grado) dello stesso Presidente della Regione Scopelliti a ben 6 anni di reclusione per falso in atto pubblico e abuso d’ufficio nel cosiddetto “processo Fallara”.
E “abbuoneremo” tutte le inchieste aperte, non ultime quelle della magistratura contabile, nei confronti di politici (clamorosa quella per la quale è stato negato l’arresto del senatore alfaniano Piero Aiello, già assessore all’Urbanistica della giunta Scopelliti): risuonano ancòra potentissime le parole di Peppe Scopelliti all’auditorium “Calipari”, crude e immediate («No!, non ci siamo fottuti i soldi…») rispetto al terrificante naufragio del “modello Reggio” sotto una falla di 120 milioni di euro di “buco” (certificato) a Palazzo San Giorgio, nell’annunciare la propria candidatura alla Camera (mai avvenuta, a differenza di un’eurocandidatura risultata particolarmente infelice e bocciata dagli stessi elettori del Nuovo Centrodestra).
Punto #3: assai complicato pensare che la magistratura desse ragione al politico che sosteneva di non aver mai ordinato convivi per complessivi 52mila euro d’importo il cui svolgimento era stato materialmente richiesto da un suo strettissimo collaboratore. Invece, quantomeno rispetto al fronte cautelare (esecuzione del decreto ingiuntivo proposto dal ristoratore che si ritiene truffato…), il giudice civile ha dato ragione al politico in questione: che però, particolare non certo da poco rispetto al prestigio complessivo dell’Ente regionale, è addirittura il presidente dello stesso Consiglio regionale, Franco Talarico (big calabrese dell’Udc).
Certo però, il giudizio di merito sul “caso Talarico” arriverà solo nel 2015. E intanto un riverbero micidiale di pubblicità negativa per la Calabria, i calabresi e le Istituzioni locali è arrivato da chi – come le “Jene” Mediaset – ha fatto diventare le presunte “cene a scrocco” un caso nazionale di quelli che creano imbarazzo, difficoltà enormi, o meglio: sincera angoscia, in tutti coloro che credono che amministrazione della cosa pubblica sia innanzitutto etica e responsabilità delle proprie azioni. Tanto più che il “conto” globale lieviterebbe a 120mila euro.
E pensate solo a un aspetto: che tutto questo accade mentre è praticamente nel vivo la campagna elettorale per le Regionali 2014… immaginatevi la faccia che potranno fare i ristoratori d’ogni angolo della Calabria quando, magari dopo un comizio, si vedranno arrivare frotte di politici nel locale. Chi prenoterà più i locali? Chi pagherà? Quali saranno le garanzie in materia? Ogni singolo imprenditore vorrà precise rassicurazioni sul punto, temiamo!, dalla carta d’identità alla non-iscrizione alle centrali di rischio in caso di pagamento previsto con assegni…, visto che, per non averlo preteso, Salvatore Mazzei – sia stato o meno Franco Talarico ad aver voluto gli appuntamenti conviviali ai quali lui avrebbe ritenuto di prender parte come ospite – è sull’orlo del tracollo economico…
Il punto #4, tuttavia, è tra i più incredibili
di quelli che “a monte” potessero ipotizzarsi: malgrado una durissima sentenza di condanna penale (benché, lo ripetiamo, in primo grado), invece di “consegnarsi” immediatamente a un nuovo verdetto degli elettori calabresi, incredibilmente dopo la “tegola” caduta su Peppe Scopelliti il centrodestra ha ben pensato di optare per una resistenza all’arma bianca, neppure ci fosse da difendere la linea del Piave… pronto a fare ostruzionismo fino all’ultimo minuto dell’ultimo giorno che potesse precedere il disarcionamento del Presidente uscente della Regione (sùbito dimissionario solo a parole…) ai sensi della legge Severino.
E invece, da difendere c’erano soltanto gli scranni di consiglieri e assessori regionali e le loro laute prebende (tuttora più che desiderabili, malgrado le varie spending review nazionali e locali).
…Infatti (punto #5) s’è molto, troppo giocato con la pazienza dei calabresi.
Sarà antipatico, ma è bene dirlo con chiarezza almeno in questa sede: a Roma come a Catanzaro o a Reggio Calabria, non si aspettano gli ultimi scampoli di consiliatura per legiferare su “fondamentali” riforme. Se davvero le si vuol fare, e davvero le si considera prioritarie, vanno incardinate e votate entro i primi 12-18 mesi, qualsiasi cosa accada nel frattempo. “Naturalmente”, in Calabria è andata esattamente al contrario.
Il bello è che, questo il punto #6, purtroppo per il legislatore calabrese siamo anche di fronte a un anno in cui il Consiglio regionale (al netto delle riunioni di Commissione, per carità) aveva fatto veramente pochissimo.
Si pensi che, dopo tanta sbandierata produttività in alcuni degli anni precedenti (…diciamo che la percezione dei cittadini-elettori è stata un po’ diversa: ma questo è un altro discorso…), nel primo semestre 2014 giunta Scopelliti e maggioranza di centrodestra erano riuscite a portare in Aula e far approvare davvero pochissime leggi. Soltanto otto, alla media cioè di circa una legge regionale al mese; col “dettaglio” però che, di queste, ben sette sono state varate entro febbraio. Dunque, l’Assemblea guidata da Franco Talarico si sobbarca anche la (ir?)responsabilità d’aver prodotto in QUATTRO lunghissimi mesi solo UNA legge, all’encomiabile ritmo di una legge regionale ogni 120 giorni (col benefit addizionale di non aver fornito in quel lungo arco di tempo uno straccio di risposta normativa alla tremenda emergenza-rifiuti, lasciando insieme all’esecutivo che nel segmento dei fondi Ue si verificasse l’incresciosa situazione che ha poi visto le istituzioni comunitarie tirarci degli sganassoni memorabili etc.).
…“Sfortunatamente”, quell’ottava legge arrivata a giugno è proprio la controversa legge elettorale in cui si pensò bene di elevare al 15% la soglia di sbarramento, sapendo perfettamente – siamo adesso al punto #7 – di dar luogo a una norma incostituzionale (e molti giuristi interpellati si pronunciarono tutti nella stessa direzione), mentre l’istituzione del consigliere “supplente” era un suicidio normativo annunciato (avendo già in anni precedenti la Corte costituzionale impugnato leggi elettorali regionali in relazione al medesimo istituto).
Adesso, fra tre soli giorni (giovedì 11 settembre) il Consiglio regionale tornerà a riunirsi per emendare quella legge. E forse riportare al 5% la soglia d’accesso al riparto-seggi per le liste che non si presentino all’interno di coalizioni. Un po’ il simbolo di un modo d’agire allucinante.
Si fosse stati davvero convinti della fondatezza delle argomentazioni, chiaramente si sarebbe andati alle urne, preparandosi intanto a incassare un verdetto positivo da parte dei giudici costituzionali (nella realtà, assai improbabile…). La data dell’11 settembre non è casuale: sembra un po’ evocare il Ground Zero della politica calabrese…, in realtà si tratta del giorno immediatamente successivo a quello in cui, preso atto della mancata proposizione di referendum abrogativi, sarà formalmente in vigore il “nuovo” Statuto regionale per come legiferato in prima e seconda lettura.
Tutto questo (punto #8) accade a fronte di un’opposizione a Palazzo Campanella spesso assai discutibile, e accusata a ripetizione d’ “intelligenza col nemico” (mesi fa, i consiglieri regionali piddini subirono, in sostanza, quest’accusa persino dal loro allora neosegretario, il deputato Ernesto Magorno… non senza reagire in modo significativo).
Ma non è tutto. Per la Regione Emilia-Romagna proprio in queste ore s’apprende infatti che si voterà il 23 novembre.
Dire che si tratta di un ulteriore schiaffo a una Calabria dai rappresentanti arruffoni e imbelli, è poco.
Ecco perché ci troviamo davanti al punto #9 di una situazione di non-ritorno.
Non era infatti mai accaduto che, persino dentro un centrosinistra storicamente fatto di divisioni, lacerazioni e scissioni, tranne qualche “mosca bianca” i consiglieri regionali del Pd fossero tutti compatti attorno al lìder maximo nazionale (in questo caso, Matteo Renzi): ma non è bastato affinché il Governo centrale guidato dallo stesso segretario nazionale piddino decidesse tempestivamente la data delle Regionali che, a parole, l’opposizione a Palazzo Campanella ha sempre detto di volere nei tempi più stretti possibili…
E del resto il Partito democratico calabrese in testa deve farsi perdonare l’ignavia totale rispetto a quelle primarie “per legge” approvate per due volte in pochissime settimane (come smentire Renzi e lo stesso Dna piddino, delle “primarie sempre ovunque e comunque”, almeno sulla carta?), salvo poi “accorgersi” che gli stessi uffici della Regione, ben prima della duplice approvazione (l’ultima versione è frutto di ben due diverse proposte incrociate di marca dèmocrat), ne avevano stimato i costi in circa 600mila euro e che quindi non sarebbe stato opportuno effettuarle.
Ma è vero pure che dell’Ncd è (…o era?) Peppe Scopelliti, e dell’Ncd è il Presidente facente funzioni Antonella Stasi, e dell’Ncd è ovviamente il leader nazionale Angelino Alfano che però è pure il titolare del Viminale, che la “magica” data delle Regionali deve tirarle fuori (benché formalmente sia la stessa Stasi a doverlo fare).
In teoria, anche qui: prima possibile… In pratica, però, sono mesi lunghissimi che si traccheggia. Senza spiegazioni accettabili: i magistrati amministrativi calabresi – ove mai necessario – hanno chiarito fulgidamente che non era assolutamente necessario, per fissare la data del voto, attendere la formale entrata in vigore delle modifiche statutarie.
Chissà quanto si sarebbe andati per le lunghe, senza l’ordinanza del Tar Calabria che, sulla scorta del ricorso avanzato da Cittadinanza Attiva e altre tre associazioni, il 4 settembre scorso ha imposto ad Antonella Stasi un termine perentorio di 10 giorni per emanare il decreto per indire le Regionali calabresi… Perentorio in tutti i sensi, visto che in mancanza sarà il prefetto di Catanzaro a emanare l’atto, in surroga, entro i 5 giorni successivi.
Ma il manrovescio è davvero umiliante, per politici ed esponenti istituzionali calabresi che balbettando hanno tentato di difendere questo strenuo andar per le lunghe…, in quanto in Emilia si voterà il 23 novembre, data già fissata da Palazzo Chigi e Viminale, benché non ancòra ufficializzata. Ma le dimissioni dell’ex presidente della Regione (e della Conferenza Stato-Regioni) Vasco Errani, per una condanna di appena 10 mesi per non aver svelato un illegittimo finanziamento concesso al fratello imprenditore, datano 23 luglio: esattamente quattro mesi prima. E sono intervenute non alla chetichella, ma in modo adeguatamente solenne, durante una riunione del Consiglio regionale; e appena 15 giorni dopo l’annuncio, operato l’8 luglio scorso.
In Calabria invece ancòra neppure si conosce la data del voto (solo in queste ore, se è per questo, s’è appreso che il 21 di questo mese non si voterà per le “primarie per legge” grazie alla rinuncia di Diritti civili e Franco Corbelli), ma Scopelliti era stato condannato il 27 marzo scorso: fra pochi giorni sarà un semestre esatto dalla sentenza. E non si sa ancòra la data del voto; peraltro, in questo caso le dimissioni erano intervenute solo il 29 aprile (dunque non nel giro di due settimane, ma oltre un mese dopo) e ben lontano dal Consiglio regionale (al quale, secondo un’interpretazione dell’iter della sospensione per 18 mesi ai sensi della “legge Severino”, neppure avrebbe più potuto accedere per lo svolgimento delle funzioni). Ma sempre molto molto molto prima del 23 luglio.
E invece la data delle Regionali calabresi, paradossalmente, si conoscerà ben dopo. E – verosimilmente – si rivoterà, anche, dopo quella data. Salvo che la logica e la dignità delle istituzioni calabresi vengano tutelate almeno adesso, con un colpo di reni di Stasi, Renzi e Alfano.
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