Forza Italia tra animalismo, partito gay-friendly e antiastensionismo
Diciamolo sùbito: chi avesse per avventura anche solo pensato che Silvio Berlusconi è morto con la sentenza sul RubyGate e col conseguenziale affidamento ai Servizi sociali (per sfuggire al carcere), s’è sbagliato di brutto.
Berlusconi è animale politico come pochi. Fiuta il vento come pochi. E chi non l’avesse fatto, farebbe bene a chiedersi almeno adesso (!), almeno alla luce del 40% alle Europee (!!), per quale motivo al mondo l’ “ex Cavaliere” abbia tirato fuori, in tempi non sospetti, un’ammirazione-a-distanza per Matteo Renzi teoricamente degna di miglior causa, per un avversario politico…
Solo che il personaggio ha due caratteristiche.
Che si riflettono adesso nella sua inopinata, rapidissima apertura alle unioni gay e al mondo degli animali domestici (e relativi proprietari, visto che pelosetti e quattrozampe non votano).
La prima è legata alla sua proiezione pubblica: senza scendere nel merito dei suoi (opinabilissimi) risultati di Governo, certo Silvio Berlusconi mediaticamente dà il meglio di sé quando è al timone. Fare le corna ad Angelona Merkel o invitare in vacanza fra tette e culi l’ “amico” Vladimir Putin fa assolutamente parte del personaggio: e sarà meglio chiarire una volta per tutte che le critiche mossegli fuori dalla sfera dei propri sostenitori stessi gli fanno un baffo. Particolarmente, quelle speciose: …chi nel centrosinistra italiano, ieri, aveva goduto per i sorrisini e gli occhiolini complici tra la stessa Merkel e Nicholas Sarkozy al solo sentir parlare della credibilità dell’Italia “di Berlusconi”, con l’arresto per corruzione del “signor Bruni”, oggi è servito e avrà (forse: forse…) compreso la propria miopia.
Seconda caratteristica: Silvio Berlusconi è divisivo e ricompattante. Hai un problema con Claudio Scajola? Non lo cacci, però lo allontani: nell’attesa che, prevedibilmente, l’ex ministro scalpiti e cerchi d’essere nuovamente utile alla causa. Un Fini o un Alfano chiedono una linea politica diversa o il rinnovamento generazionale? Tanto fai, tanto li delegittimi che li induci ad andarsene, per poi dimostrare elettoralmente la loro indiscutibile marginalità “a destra” rispetto ai berluscones. Non ti tornano i conti con la dirigenza forzista? Tiri fuori dal cilindro un Giovanni Toti, piazzandolo a fare scompiglio tra tutti gli “alti papaveri” e a prendere saldamente in mano (anche per competenza specifica, eh) il “pallino” della comunicazione tv facendo da portavoce-più-realista-del-re: mezzo partito strillerà, un quarto di partito bisbiglierà d’esser pronto a far le valigie, un ottavo di partito annuncerà le proprie immediate dimissioni, …alla fine puntualmente resteranno tutti e con gli equilibri nuovi che volevi tu.
In questo senso, è stato dato davvero pochissimo spazio rispetto alla potenza evocativa della sconfitta, alle ultime Amministrative del 25 maggio, del sindaco uscente di Pavia Alessandro Cattaneo: ex primo cittadino più amato d’Italia, un po’ incredibilmente non è stato premiato ma, con ogni probabilità, invece ha pagato (!) la qualifica di leader dei “rottamatori” forzisti (in Calabria, per la cronaca, rappresentati dall’oggi presidente delle Ferrovie della Calabria Peppe Pedà). Perché l’ascendente leaderistico, all’interno di un partito con le peculiarità di Forza Italia, sfiora l’unanimismo.
…S’inseriscono in questo quadro pure due recenti vicende.
A ridosso dell’eurovoto, il tentativo del “creatore” di Forza Italia d’accaparrarsi simpatie e suffragi delle centinaia di migliaia d’elettori che tengono in casa un animale domestico. E la clamorosa apertura ai gay, preceduta da un episodio passato relativamente sotto silenzio: dopo le parole giudicate omofobe dell’ex Governatore calabrese Peppe Scopelliti e la richiesta del volto tv Alessandro Cecchi Paone di mettersi a capo, in chiave “risarcitoria”, della sua lista (cioè quella col Nuovo Centrodestra ma soprattutto con l’Unione di centro!, che difficilmente sarebbe stata felicissima di una candidatura di questo tipo…), Cecchi Paone fu realmente candidato e proprio nella circoscrizione elettorale “Sud”, ma nelle fila azzurre. Era la “parte 1” di una mossa più ampia, completata con l’iscrizione all’Arcigay (!) della fidanzata Francesca Pascale ma soprattutto del mitico direttore del “Giornale” e di “Libero” Vittorio Feltri (che in passato, sulla comunità Lgbt, ha scritto cose da far rabbrividire anche un frate francescano).
Con gli occhi di un osservatore naiv, ci sarebbe da chiedersi se l’ex premier sia improvvisamente impazzito. Ma non è assolutamente così: il punto è che ha avuto inizio la difficile “battaglia di trincea” unico modo per vincere la guerra, e cioè per tornare maggioranza nel Paese. Una guerra che si potrà vincere non col “terrorismo” (specialità politica di forze come la Lega Nord), non con le “armi atomiche” (in passato usate a piene mani da Silvio B.: esempio tipico, l’annuncio dell’abrogazione dell’Ici), ma piuttosto con una “battaglia di trincea”, recuperando voti a uno a uno, o meglio ancòra: categoria per categoria.
E i proprietari di cani o gatti votano. Lesbiche e omosessuali, pure.
Senza contare che con quest’ultima battaglia, Berlusconi radicalizza il liberismo di Forza Italia, mettendo un po’ ai margini l’ala cattolicocentrista; rischio calcolato, perché l’obiettivo vero sembra essere strappare a Cinquestelle il vessillo della “battaglia per i diritti”; mettere in crisi – nel tempo – l’ampia fascia di elettorato di Sinistra che fin qui s’è riconosciuto nel Pd, ma è perplesso per varie decisioni di Governo e per il “nuovo volto” del partito; e soprattutto, erodere il più possibile l’enorme consenso potenziale tenuto “in congelatore” dalla fiumana degli astenuti, in Italia veri trionfatori delle Europee di maggio.
Sì, perché come per ogni argomento serio, giornali e tv ne hanno parlato giusto qualche ora tra il 25 e il 26 maggio, per poi buttare tutto via nella differenziata: ma il punto vero su cui interrogarsi in relazione alle Europee di poco più di un mese fa è che, alle urne, c’è andato solo il 58,7% degli aventi diritto.
Come si fa a non interrogarsi più, a poche settimane di distanza, su un fenomeno di tali mostruose proporzioni?
Torniamoci adesso. Il 25 maggio, per le Europee almeno, hanno votato 28,9 milioni d’italiani su 49,2 di aventi diritto. Semplicissimo il calcolo: 20 milioni e 300mila elettori – quasi metà del corpo elettorale, un terzo di tutta la popolazione italiana – hanno disertato l’appuntamento con le urne.
Senonché, il partito che ha vinto in modo trionfale queste elezioni, di voti, ne ha presi neanche 11 milioni e 200mila. Il Movimento Cinquestelle, 5 milioni e 800mila. Forza Italia, 4 milioni e 600mila. Detto in altre parole, il partito che ha vinto con una percentuale talmente alta che oggi Matteo Renzi gode di un’inusitata credibilità in Europa perché tutti sono convinti che abbia sbaragliato ogni altro avversario in campo, ha preso poco più di metà dei voti rappresentati da chi – sfiduciato e incazzato – non ha neppure raggiunto i seggi. Un monte di consensi (mancati) talmente alto che lo eguaglia (in verità, lo supera di poco, arrivando a 21,6 milioni) solo la somma di tutti i suffragi presi da tutt’e tre le forze più votate nel Paese.
Il “bello” è che molti commentatori blasonati hanno sùbito ricordato che, in fondo, alle Europee gli italiani hanno spesso disertato le urne…
Ma è vero o no?
1979: a votare ci andarono in 36 milioni, l’81,2% degli aventi diritto.
1984: votarono in 36,8 milioni (83% del corpo elettorale).
1989: 37,3 milioni di suffragi espressi (alle urne l’81,6% del totale).
1994: ai seggi 35,5 milioni d’italiani (il 74,6% degli aventi diritto).
1999: in cabina 34,2 milioni di elettori (70,8% degli iscritti nelle liste).
2004: al voto 35,6 milioni di connazionali (ai seggi il 73,1% di chi ne aveva facoltà).
2009: 32,6 milioni d’elettori scelsero di espletare il proprio diritto-dovere (66,5% del corpo elettorale).
….Ma di che stiamo parlando?
Tra il ’79 e il 2004, anche ad accantonare la differenza in termini percentuali, in cabina elettorale ci andarono sostanzialmente sempre gli stessi: 36 milioni d’italiani, voto più voto meno. Solo il 2009 registrò uno scollamento deciso e l’affluenza scese al 66,5%: a votare ci andarono neanche 33 milioni di connazionali. E un mesetto fa, scesero di botto a 28,9 milioni.
Impensabile non aggredire quest’esercito di delusi. E che lo si faccia per temi, per categorie sociali, per zone geografiche la vera sfida è qui, almeno per le prime tre forze politiche del Paese: le altre, nella “foto” del 25 maggio, risultano a una distanza siderale.