Scopelliti: lascio sùbito. Sì, però…
Il presidente della Giunta regionale Peppe Scopelliti – di recente, duramente condannato a 6 anni di carcere e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, in primo grado, dal Tribunale di Reggio Calabria, per il cosiddetto “caso Fallara” per i reati di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio – ha fatto sapere che non intende traccheggiare ma che, invece, a giorni si dimetterà da Governatore.
Bene. Ma anche no…
Vediamo sùbito cosa ci convince dell’annuncio del Governatore calabrese e cosa, invece, ci lascia perplessi.
Innanzitutto, a questo blogger risulta più che convincente l’idea che un amministratore pubblico (tanto più se apicale, tanto più se un presidente di Regione) lasci il proprio incarico in sèguito a serie disavventure penali: e qui non si tratta di un “semplice” avviso di garanzia, ma di una dura condanna.
Non solo: l’ipocrisia dell’imputato condannato in primo o in secondo grado che andrebbe ritenuto innocente finché non ancòra soggetto a giudizio irrevocabile deve finire. Questo è un ragionamento a tutela del cittadino; non può, non può assolutamente essere un iter logico da seguire per far restare in sella un amministratore. Il quale, proprio perché rappresentante dei cittadini, deve farsi carico delle conseguenze di una condanna – anche se non definitiva – non certo per reati bagatellari. Naturalmente in questo caso, però, stiamo parlando non di Scopelliti ma di tutti gli amministratori d’ogni colore politico che, anche in futuro, si ritrovino in condizioni dello stesso tipo; altrimenti, “paletti” etici di questo tipo sarebbero destinati a naufragare miseramente in quanto non generali&astratti.
Certo però, non può sfuggire il tira-e-molla poco decoroso di questi giorni dello stesso Peppe Scopelliti intorno alle proprie dimissioni. Che alla fine – ammesso che riesca a resistere a chi nella sua stessa maggioranza lo “tira per la giacchetta” – rassegnerà il mandato nei prossimi giorni in Consiglio regionale, nelle mani del presidente d’Assemblea Franco Talarico.
La questione non è di poco conto. Possiamo riassumerla così: è più “uomo delle Istituzioni” chi, sapendo perfettamente di essere comunque fuori gioco nel giro di due-tre settimane a causa della sospensione da 18 mesi prevista dalla legge Severino, si dimette e obbliga così allo scioglimento dell’Ente e a tornare al voto perché «i calabresi si meritano un governo pienamente legittimato», o chi ritiene che dopotutto non possa applicarsi la massima «dopo di me, il diluvio» e occorra portare a termine la consiliatura e dunque, per poterlo fare, lasciare che intervenga la citata sospensione e che gli subentri – nello specifico – il vicepresidente?
Bel quesito.
Una porzione di centrodestra, anche alquanto nutrita, “tifa” per la prosecuzione della consiliatura (e, per inciso, per non perdere un anno d’indennità. Poveracci. E poveri noi). Ma pure il centrosinistra è “con” Scopelliti, quantomeno con quello che dice di volersi dimettere senza perdite di tempo. Il Partito democratico, in particolare, è convintissimo si debba votare già a giugno e per lo stesso, identico motivo: ridare agli elettori calabresi una Giunta legittimata da un voto.
Detto questo, due punti interrogativi.
Ma se la legittimazione di una Giunta regionale, Presidente a parte, viene meno per le ovvie conseguenze – anche e soprattutto in termini di riflessi sulla pubblica opinione – di una condanna pur non definitiva, lo stesso verdetto “temporaneo” di colpevolezza come fa a non incidere su un’eventuale candidatura al Parlamento europeo? Dal punto di vista etico, l’ipotesi che Peppe Scopelliti (e chiunque si trovasse nelle medesime condizioni giuridico-processuali) venga candidato dopo una condanna a 6 anni di reclusione fa rabbrividire. Tanto più in quanto l’eurovoto sfrutterebbe l’unica finestrella elettoralmente utile lasciata dalla legge Severino ai cui sensi, infatti, un politico nella situazione del Governatore calabrese è incandidabile a Camera, Senato, Regione, Provincia e Comune.
Il secondo quesito: ma se il Presidente era così sicuro di volersi dimettere nell’arco di pochi giorni, perché non farlo sùbito, invece di annunciarlo sùbito e poi lasciar trascorrere dieci giorni (era il 27 marzo, quando è arrivato il verdetto del collegio presieduto da Olga Tarzia) con la Regione in un‘impasse istituzionale micidiale?
Presumibilmente, perché l’ormai ex coordinatore nazionale dei Circoli del Nuovo Centrodestra voleva soppesare adeguatamente, prima mediante l’incontro diretto avuto nella Capitale e poi valutando le successive reazioni, la portata della vicinanza del leader nazionale del suo partito Angelino Alfano. E poi decidere di conseguenza: in relazione al supporto, vagliando anche l’exit strategy di un potenziale seggio a Strasburgo… E tutto, a fronte di un “numero 1” nazionale dell’Ncd che, però, è anche ministro dell’Interno in carica ed ex Guardasigilli.
Questo, in parte esplicito in parte scritto fra le righe, è quello che non ci convince assolutamente dell’intera vicenda: e la sola idea che su quest’altare si possa accendere pure in Calabria un novello, ulteriore fronte antigiudici come in Campania per Nick Cosentino ‘O Mmericano o come già per lo stesso Silvio Berlusconi suscita in questo blogger perplessità insuperabili.