Il dibattito sull’antimafia che diverte tanto i clan (1)
Dopo l’arresto di Carolina Girasole, almeno apparentemente irreprensibile sindaco antimafia di Isola Capo Rizzuto pur non avendo mai nascosto (e anzi lottando di più per questo motivo, sempre almeno in apparenza) la propria parentela col clan Arena, ma ancor di più dopo l’arresto dell’ormai ex presidente del Movimento Donne San Luca Rosy Canale (anche perché seconda misura cautelare, in tempi ravvicinatissimi, nei confronti di ritenute “icone antimafia”), all’indirizzo delle destinatarie sono stati scagliati quasi soltanto insulti.
Ragionamento sulla portata di quanto accaduto rispetto al contrasto culturale ai clan, quasi zero. Ragionamento sulla coerenza di alcuni profili dei canovacci investigativi, quasi zero (…l’idea che una cosca sanguinaria come quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto possa ringraziare un politico corrotto che la sponsorizza regalandogli una cassetta di finocchi, passaggio più volte presente nell’ordinanza relativa all’operazione Insula, non sarebbe venuta neppure al più sprovveduto degli sceneggiatori di B-movie. E questo, per onestà intellettuale, bisogna assolutamente dircelo).
Altrettanto “naturalmente”, adesso s’è scatenato il finimondo; e questo, per essere precisi, in quanto è stato il Nord più blasonato, il quotatissimo Corriere della sera, ad alzare l’indice contro l’antimafia “parolaia” presente in Calabria.
Ernesto Galli Della Loggia, fra i più apprezzati editorialisti dell’intero Paese, al di là delle “derive” in pratica ha accusato l’antimafia di casa nostra di essere tutta “chiacchiere e distintivo”, sollecitando a costruire nuove caserme piuttosto che ad alimentare verbosi circuiti associazionistici anticrimine.
Di certo, Galli Della Loggia omette più “dettagli”.
Intanto, l’antimafia che coinvolge gli studenti li coinvolge in vario modo. Non ci sono solo convegni, ma anche attività extrascolastiche che consentono davvero – a chi lo vuole davvero, chiaro; ma non è così anche per le attività scolastiche, e per tutte le attività della vita? – di mettere a fuoco i contorni del fenomeno mafioso. E’ antimafia “parolaia” anche coinvolgere centinaia di ragazzi, estate dopo estate, nella coltivazione dei campi confiscati ai boss, simbolica attività tra le più note di Libera? La risposta di questo blogger è negativa.
Ovviamente, un’alternativa c’è: ipotizzare cioè che le giovani generazioni, nei territori stritolati dalla ‘ndrangheta, non abbiano certo bisogno di lezioni per apprendere cos’è la mafia e (volendolo) potersene difendere. Un sillogismo secondo il quale la discussione sull’opportunità e urgenza d’introdurre lezioni d’educazione sessuale alle scuole superiori non si sarebbe neppure dovuta aprire, visto che secondo molte statistiche gran parte dei giovani consuma il primo rapporto tra i 12 e i 13 anni d’età; e gli alcoolisti anonimi non avrebbero motivo di riunirsi e scambiarsi reciprocamente le proprie esperienze, considerato che ognuno di loro ha ben presente in cosa consista il “mostro”.
Dopodiché, questo blog si soffermerebbe sull’alternativa indicata: per sintesi, “più caserme, meno culturame antimafia”.
Due le perplessità.
Il primo è che l’editorialista del “Corsera” forse non lo sa, ma proprio la costruzione di nuove caserme è stata ostacolata con enorme successo dalla criminalità organizzata in alcune zone della Calabria (basterà ricordare l’appalto per costruire la caserma dei Carabinieri a San Luca: per finirla ci vollero 15 anni e una sequenza d’intimidazioni e atti incendiari ai danni delle ditte che si susseguirono sul cantiere).
E poi, i primi a sostenere con passione l’esigenza di andare ben oltre la semplice risposta giuridico-processuale alla criminalità organizzata sono da sempre investigatori e magistrati. Giusto qualche esempio. 12 gennaio 2009, il procuratore capo di Reggio Giuseppe Pignatone (oggi procuratore capo di Roma): «L’azione repressiva non basta, occorre avere piu’ consapevolezza dell’entità del problema attraverso un coinvolgimento di tutta la società». 14 giugno 2013, l’attuale procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho: «L’azione repressiva non basta perché è una questione di sensibilità. Ognuno deve contribuire con coraggio ed etica nei comportamenti». Ma, personalmente, vorremmo sottolineare soprattutto le emblematiche parole pronunciate il 18 dicembre 2012 dal neodirettore della Dia (la Direzione investigativa antimafia) Arturo De Felice, calabrese (reggino) “doc”: «Credo che il discorso debba andare oltre la repressione. E’ necessario partire dalle scuole». Esattamente l’opposto di quanto oggi sostiene Galli Della Loggia facendo l’occhiolino a “quel” Salvatore Sciascia che tuonò contro i professionisti dell’antimafia; quello Sciascia così frainteso in radice, così svogliatamente e impropriamente citato in tutt’e 27 gli anni a venire da quel ragionamento, acuto come sempre.
Ma il discorso è lungo…
(1 – continua)