“Caso Rappoccio”, l’ira di Chizzoniti contro i ‘tiepidi’ fra i magistrati: “Dal magma Giustizia a Reggio si uscirà solo con un pool d’ispettori”
Richiesta di ricusazione in capo ai magistrati che decisero la scarcerazione per Antonio Rappoccio. E ipotesi nei loro confronti d’aver violato la legge per “aiutare” l’ormai di nuovo “ex” consigliere regionale. Su queste basi, s’è svolta nel pomeriggio di lunedì 24 settembre una conferenza stampa tenuta dall’appena reinsediatosi consigliere regionale Aurelio Chizzoniti, nell’aula “Levato” di Palazzo Campanella, quale ennesima tappa del “caso Rappoccio”.
L’ex presidente della Commissione consiliare di vigilanza ha voluto intanto porre una premessa: «Se qualcuno pensa che il mio ritorno in Consiglio regionale possa appagarmi e ridurmi al silenzio, si sbaglia di grosso... La mia è una battaglia di civiltà. Questo schifo che riguarda il processo Rappoccio – è stata la sua testuale esortazione – non contamini il resto della Giustizia!».
Ieri mattina, infatti, Chizzoniti ha poi depositato (per come annunciato poche ore prima) un esposto sul “caso Rappoccio” e intorno alle eventuali responsabilità del collegio che decise di scarcerare l’eletto di “Insieme per la Calabria” (lista per cui lo stesso Aurelio Chizzoniti, elettoralmente parlando, alle Regionali 2010 risultò invece primo dei non eletti nella circoscrizione provinciale reggina) rivolta al presidente della Corte d’appello di Reggio Giovanbattista Macrì, al procuratore distrettuale di Catanzaro Vincenzo Lombardo, al procuratore generale presso la Corte di Cassazione Gianfranco Ciani, al vicepresidente del Csm Michele Vietti (vedi foto a destra), al ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri e, per conoscenza, al procuratore generale presso la Corte d’appello di Reggio Calabria Salvatore Di Landro, all’avvocato generale presso la stessa Corte d’appello reggina Antonio Scuderi, al presidente del Tribunale di Reggio Luciano Gerardis, ai vertici dell’Anm (l’Associazione nazionale magistrati, che è poi il “sindacato dei giudici”, per dire così, a differenza del Consiglio superiore della magistratura che è l’organo d’autogoverno dei giudici istituzionalmente deputato anche a irrogare loro eventuali sanzioni).
«Io sto ricusando il presidente del collegio che decise la scarcerazione di Rappoccio, Andrea Esposito, e gli altri due giudici che componevano tale organismo», cioè Luigi Varrecchione e Matteo Fiorentini, ha spiegato Chizzoniti in conferenza stampa, al contempo configurando nei loro confronti un’ipotesi di reato d’abuso e favoreggiamento reale a vantaggio di Rappoccio. E ha precisato, il consigliere regionale, di sperare che siano i magistrati interessati a «fare spontaneamente un passo indietro».
Com’è ovvio, l’ex presidente della Commissione regionale di Vigilanza ha condotto una sorta di cronistoria, per quanto avvenuto in precedenza rispetto alla tortuosa vicenda. E poi l’ulteriore gesto:
alla richiesta di ricusazione verso Esposito e gli altri due magistrati, s’accompagna un’estrosa asserzione che riguarda l’intera sfera professionale dell’ex presidente del Consiglio comunale di Reggio… «Io di quanto fatto da questi tre giudici non mi fido. E non assisterò nessuno, davanti a collegi al cui interno essi siano presenti».
Soprattutto, ci tiene Chizzoniti a far capire che neanche stavolta, con la seconda sua surroga rispetto a Rappoccio e ai vari attori nella sua complessa vicenda giudiziaria e rispetto all’appartenenza ai ranghi del Consiglio regionale, cesserà l’azione “etica” da parte sua nei confronti dell’ex collega di lista elettorale: «Non arretrerò di un millimetro – ha spiegato i politico reggino ai giornalisti –, perché quest’uso smodato della Giustizia deve finire. Stiamo parlando di persone che amministrano la Giustizia e l’amministrano molto male. Impensabile avere Rappoccio “fuori” – è la sua tesi – mentre sono stati arrestati, ben due anni dopo i fatti, i presunti assenteisti del Comune, mentre la parasuocera di Luigi Tuccio è ancòra reclusa un anno e mezzo dopo il suo arresto, mentre certi magistrati e investigatori si permettono di effettuare sequestri ai danni di una redazione e di singoli giornalisti per aver esercitato il proprio diritto di cronaca e di critica».
Un Chizzoniti davvero scatenato, insomma, che nell’invocare anche misure disciplinari da parte di Palazzo dei Marescialli s’è detto sconcertato della globale situazione della Giustizia a Reggio Calabria: «Cosa sarebbe mai successo, se una simile “sceneggiata” fosse accaduta a Pordenone, a Busto Arsizio o a Novara? – s’è chiesto il consigliere regionale –. Se ne uscirà soltanto quando approderà in riva allo Stretto un pool di verificatori onesti, in grado di acclarare cosa succede e perché nei Palazzi reggini in cui s’amministra la Giustizia. Del resto, non io, ma l’Apocalisse, tra i libri della Bibbia, invita a diffidare dei “tiepidi”…» (Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca, si legge effettivamente nel capitolo Secondo dell’Apocalisse).
E sul fronte più strettamente politico, perché secondo Chizzoniti il presidente del Consiglio regionale Franco Talarico non gli avrebbe consentito l’intervento d’esordio? Per seguire la “prassi”, più volte evocata dal politico udiccino, che non permette ad alcun consigliere “entrante” (o “ri-entrante”, come nel caso di specie) di spendere neanche poche parole di saluto? «La verità – quella di Aurelio Chizzoniti, almeno – è che Talarico aveva una paura matta che io sollevassi un tema: non il “caso Rappoccio” in sé, ma la differente gestione delle dimissioni di Francescantonio Stillitani, immediatamente calendarizzate, e di quelle di Rappoccio, trattate “con calma” e – stando sempre all’avvocato e politico reggino – peraltro impensabili per modalità, perché la legge non prevede dimissioni “post-datate”».