Insulti via Facebook? “Lettera aperta” all’arcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini
Sono rimasto colpito dalla disputa che s’è accesa, inopinatamente, sullo status Facebook dell’amico e collega giornalista Peppe Baldessarro a proposito delle recenti esternazioni del neoarcivescovo della diocesi Reggio Calabria – Bova, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini.
Dico sùbito che non sono affatto d’accordo nell’uso del termine “cesso” nei confronti del nuovo arcivescovo reggino (com’è stato apostrofato su tale pagina del popolare social network). Come non sarei d’accordo a rivolgere quest’epiteto a un rabbino o a un imam, a un altro giornalista o a un politico o a un operaio o a un insegnante.
Il termine è forte, io quest’insulto non lo userei “e basta”.
E a maggior ragione non lo userei – quale che sia il motivo – nei confronti di una qualsiasi autorità religiosa, perché a mio avviso (e secondo autorevoli giuristi) nel rispetto verso l’altrui libertà di culto è incluso il rispetto dei simboli, dei riti e dei sacerdoti di qualsiasi credo.
…Ora però entriamo “nel vivo” della questione.
Tutto nasce da quanto asserito da monsignor Fiorini Morosini in relazione a quanto accaduto a don Nuccio Cannizzaro, che come qualcuno dei lettori di questo blog saprà è stato rinviato a giudizio con l’accusa d’aver dichiarato il falso (ma al riguardo rinvio senz’altro al pezzo scritto per Lettera43.it).
Il neoarcivescovo di Reggio Calabria, nelle ore immediatamente successive al suo insediamento del 9 settembre scorso, aveva detto: «Un mafioso non è tale fino all’ultimo grado di giudizio, ma anche dopo è bene fare molta attenzione nel giudicare». Un riferimento chiaro anche alla vicenda di don Nuccio, che poi ha causato l’aspro commento di Baldessarro: «Io invece non sono garantista, dunque per me questo vescovo è un cesso, e per dirlo, oltre che pensarlo, non ho bisogno di attendere alcuna sentenza».
Ora, se avete letto il testo linkato, la “sfida” che ha davanti Fiorini Morosini è (fra le altre) proprio quella di “comunicare” una Chiesa più nettamente in contrasto coi frutti avvelenati della criminalità organizzata, non soltanto con un po’ di belle parole ma coi fatti.
Il problema nasce quando l’arcivescovo reggino risponde con una frase a nostro parere inconcludente.
“La responsabilità penale è personale”, “si è innocenti fino a prova contraria”, “si è innocenti fino alla condanna definitiva, cioè quella che arriva col terzo grado di giudizio” sono infatti nozioni base del diritto, all’università vengono studiate al primo anno di Giurisprudenza.
…ma che c’entra questo col modo in cui la Chiesa, e la Chiesa di una città “di frontiera” come Reggio Calabria in particolare, deve affrontare gli scogli della ‘ndrangheta?
Se la Chiesa e le sue varie terminazioni locali ritenesse infatti di uniformarsi all’idea che dopo la condanna definitiva si è colpevoli, non farebbe altro che recepire un principio cardine dell’ordinamento giuridico italiano. Con tutto il rispetto – anche alla luce del principio “libera Chiesa in libero Stato” -, se pure la Chiesa cattolica fosse contraria, per la legge italiana un condannato con sentenza irrevocabile rimarrebbe un “colpevole”.
Invece c’è da chiedersi, considerati anche i biblici tempi della Giustizia italiana: …e fino alla sentenza irrevocabile, per la Chiesa i mafiosi (o i pedofili, o gli stupratori, o i rapinatori che è lo stesso) sono “innocenti”?, non c’è alcuna misura che, fuori dall’ordinamento giuridico italiano, meriti d’essere adottata?
Il punto a noi sembra proprio questo, ben lungi dall’utilizzo di improperi o dalla censura di questi termini.
Soprattutto, in quanto molte istituzioni riconoscono precisi effetti (temporanei, ma che intanto esistono) anche a step processuali intermedi, come può essere un avviso di garanzia, una misura cautelare, una condanna non definitiva.
Qualche esempio concreto.
I consiglieri regionali Santi Zappalà, Franco Morelli, Antonio Rappoccio non sono affatto condannati in via definitiva; ma questo non significa che ai sensi delle leggi dello Stato non dispieghino precisi effetti le misure cautelari disposte nei loro confronti e (al di là del via-vai Rappoccio-Chizzoniti) i tre hanno dovuto ugualmente lasciare lo scranno consiliare.
Ancòra, proprio il Consiglio regionale della Calabria due anni fa ha varato un Codice etico d’autoregolamentazione in base al quale basta un rinvio a giudizio o una misura di prevenzione per reati di mafia, per far scattare la decadenza dalla candidatura nelle liste dei partiti o forze politiche aderenti.
Non solo. Giusta la deliberazione n. 92 del 2006 del Consiglio regionale, basta una condanna in secondo grado (non definitiva, dunque) a soli due anni di carcere per far perdere al consigliere regionale qualsiasi ulteriore incarico detenga (capogruppo, presidente di Commissione etc.), previa richiesta di revoca da parte del presidente d’Assemblea o di almeno 1/5 dei componenti del consesso poi approvata in aula.
Naturalmente in molte altre istituzioni atti processuali diversi dalla condanna definitiva dispiegano effetti anche molto molto importanti.
Ecco… noi crediamo sia questa la strada che dovrebbe abbracciare la Chiesa: un convinto sposalizio della legalità, perché non si può attendere vent’anni per prendere magari i primi provvedimenti rispetto a situazioni talora incandescenti, perché anche la Chiesa (come la politica etc.) ad adottare le contromisure più opportune rispetto a fenomeni particolarmente insidiosi dovrebbe arrivarci prima che ci arrivi la magistratura.
E a monsignor Fiorini Morosini lo diciamo senza remore.
Cogliamo l’occasione per dirgli “a distanza” altre due cose.
La prima: non è stato gesto di grande eleganza, indire una conferenza stampa “per soli giornalisti accreditati dalle testate di riferimento”. Soprattutto perché lo spiacevolissimo effetto complementare è stato la “blindatura” da voci particolarmente critiche o accreditate (nel senso del “credito” di cui godono, non dell’ “accredito”……). Ne vorrà tenere conto per il futuro? Chissà.
La seconda: cosa faranno i colleghi giornalisti s’è in parte visto in queste ore, nel bene e nel male. Personalmente però (benché cattolici convinti, per quel che possa valere) respingiamo recisamente anche la sola idea che un uomo di Chiesa, un prefetto, un sindaco, qualsiasi rappresentante delle istituzioni possa esprimersi nei confronti della stampa come ha fatto monsignor Giuseppe Fiorini Morosini: «Non andremo mai d’accordo se voi vorrete imporre al vescovo come si deve comportare».
Con grande rispetto, glielo diciamo fin d’ora: si abitui, perché in pochi, probabilmente, ma l’abbiamo fatto prima che s’insediasse e continueremo a farlo. Una delle funzioni-chiave della stampa è proprio l’esercizio del diritto di critica (nel senso ampio del termine): atecnicamente, cioè, suggerire (non imporre, questo mai) al primo cittadino o a una Giunta provinciale o a un presidente del club service di turno “come si devono comportare” rispetto a una determinata questione, almeno nella visione di un certo giornalista di una certa testata.
E amichevolmente aggiungiamo: caro Giuseppe, che tu dica così ci sorprende.
Sì, Giuseppe; perché in questo specifico caso non è all’arcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova che ci rivolgiamo, ma al collega giornalista. E una delle prime regole di questo mondo con molte ombre e qualche luce è che tra colleghi ci si dà del “tu”. Dunque…
….Per cui, caro Giuseppe (come giornalista, e non come prelato, ribadiamo): ci sorprende, e tanto, che a intimare di “non dirti come ti devi comportare” nell’esercizio delle tue funzioni sia proprio tu, iscritto all’Albo dei giornalisti.
Come giornalista iscritto all’Albo, Giuseppe, conoscerai senz’altro la Carta dei doveri del giornalista sottoscritta dall’Fnsi (il sindacato nazionale dei giornalisti) poco più di vent’anni fa (era l’8 luglio del ’93), che recita tra l’altro: «La responsabilità del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non può mai subordinarla a interessi di altri».
…non c’è altro da dire, mi pare.
Una postilla. Ancòra per Giuseppe (il giornalista), più che per monsignor Giuseppe Fiorini Morosini (l’arcivescovo).
Avrai notato anche tu con profondo disgusto, caro Giuseppe, le contumelie talora bizzarre, talora ottuse, talora francamente preoccupanti indirizzate all’indirizzo del nostro comune collega Peppe Baldessarro, per l’epiteto (a mio avviso infelice) che ti ha rivolto via Facebook. Anche per sgombrare il tavolo dalle evidenti e becere strumentalizzazioni in corso, non sarebbe male che tu, da giornalista, facessi pervenire al buon Baldessarro la tua solidarietà da collega verso un ottimo giornalista trascinato artificiosamente in una gazzarra francamente degna di miglior causa.
Ferme restando per monsignor Fiorini Morosini, che rispettosamente saluto, tutte le proprie prerogative arcivescovili.
secondo me voi giornalisti fate parte di una casta di intoccabili e cercate di difendervi a vicenda. la verità è che dovreste chiedere scusa e pretendere le dimissioni dall’ordine dei giornalisti di baldessarro, così come lui ha chiesto le dimissioni di vari polititi e sacerdoti. lui ha potuto infangare il nome di tutti senza nessuna prova senza nessun contraddittorio. baldessarro ha avuto il tacito appoggio, su tutto da parte di tutta la categoria dei giornalisti. abbiate un minimo di dignità, chiedete scusa e chiedete le dimissioni di questo ciarlatano
Caro Giuseppe, lasciamo stare le varie “Caste” e andiamo all’ottimo lavoro di Peppe Baldessarro, un giornalista prezioso (non solo per la Calabria) che non ha infangato nessuno e molto responsabilmente ha inchiodato vari discussi soggetti alle proprie responsabilità, in ragione del proprio operato prevalente di cronista di “giudiziaria”. Proprio tu dovresti saperlo: “infangare”, “ciarlatano” sono termini pesantissimi dai quali io prendo assolutamente le distanze. Anche perché li meritano ben altri soggetti, non certo Baldessarro, sempre molto professionale e informato. Altro che sanzioni dell’Ordine: io spero concretamente e sinceramente che riceva la solidarietà di Fiorini Morosini quale giornalista iscritto all’Albo, nei confronti di una strumentalizzazione becera che sa ignobilmente di vendette piccole-piccole.
Se invece ti riferisci al vocabolo incriminato (“cesso”), riguardati il mio post – in realtà spero tu l’abbia già letto *prima* di commentarlo….. – per capire come la penso al riguardo.
sig. meliadò senza andare troppo lontani nel tempo e senza allontanarci dalla sfera ecclesiale, prenda in considerazione il caso del sacerdote di condera don nuccio. baldessarro nei suoi articoli estrapola dalle intercettazioni una frase detta dal sacerdote in privato e ne fa una notizia. una frase dette da una persona nell’ambito della sua sfera personale, una frase certamente forte ma detta nella massima riservatezza. quale era la notizia in quella occasione? forse che anche i sacerdoti esprimono liberamente pareri anche su tematiche sessuali? o forse la notizia era che i sacerdoti possono avere un loro modo di pensare? io credo che l’unico obbiettivo era quello di screditare il sacerdote costruendo una notizia su niente.
il sig. baldessarro pilotato da suoi “amici” crea le basi affinché l’opinione pubblica si convinca che i sogggetti che cita sono da condannare. sig meliado prenda i ferri del suo mestiere e vada a parlare con tutte le persone vittima di questo losco personaggio forse avrà una visione diversa delle cose. se baldessarro è un suo amico forse è più opportuno affidare il compito a chi potrà essere più imparziale.
Come si può chiedere all’Arcivescovo Morosini di dimostrare la solidarietà a Baldessarro, dopo che quest’ultimo lo ha offeso. E l’ha fatto due volte: un’offesa per il vescovo ed una per il giornalista. Mah..
Caro Antonio, mi spiace segnalarti che risulta incomprensibile il tuo passaggio alla presunta “doppia” offesa: quale sarebbe l’offesa a Fiorini Morosini giornalista, perdonami?
Comunque, stai ben tranquillo. La solidarietà verso Baldessarro si può e, dal mio modesto punto di vista, si *deve* chiedere al neoArcivescovo della diocesi Reggio Calabria-Bova: un conto è l’utilizzo di un vocabolo sicuramente sbagliato verso il prelato, altro conto subire indebitamente ignobili attacchi, quasi tutti strumentali e basati su aria fritta.
“Doppio” nel senso che quell’epiteto è stato usato (secondo quanto da lei scritto) sia contro il vescovo che il giornalista. Secondo me, Indipendentemente dal ruolo, giornalista o vescovo, la persona offesa è una sola. Anche da giornalista Morosini non smette di essere Vescovo.
I: ANTONIO NO, IL FIORINI MOROSINI GIORNALISTA NON VIENE SFIORATO DA QUEL TERMINE OFFENSIVO. MENTRE DOVREBBE CENSURARE I PESANTI E TALORA ANCHE RIDICOLI, MA SEMPRE INTERESSATI….., ATTACCHI RIVOLTI A UN COLLEGA: E LO DOVREBBE FARE DA GIORNALISTA ISCRITTO ALL’ALBO, NON DA ARCIVESCOVO.
…chiedo scusa per l’uso delle maiuscole, errore di digitazione.
Forse non mi sono spiegato. L’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini e il giornalista Giuseppe Fiorini Morosini, sono la stessa persona. Non si può offondere l’una senza offendere l’altra. Questo è il mio punto di vista..
Antonio, il tuo punto di vista era chiaro fin dall’inizio. Forse non sono stato bravo abbastanza a illustrare il mio: la persona è la stessa, ma Fiorini Morosini arcivescovo è “una cosa” (affari liturgici, primazia morale, coesione anche sociale della Diocesi, contrasto al Male e agli elementi di peccato etc.), Fiorini Morosini giornalista è completamente “un’altra cosa”. Fare il giornalista non rientra “di per sé” nei compiti di un prelato in quanto tale (come non vi rientra essere docente in una scuola pubblica, consulente per aziende etc., tutte cose che molti sacerdoti ugualmente fanno); essere tra i giornalisti iscritti a un Albo professionale men che meno.
E’ il Fiorini Morosini “arcivescovo” a essere stato insultato, e proprio per il modo in cui ha iniziato a svolgere il proprio mandato arcivescovile. D’altro canto, ritengo che le istituzioni giornalistiche tutte dovrebbero essere solidali con Peppe Baldessarro per gli scriteriati, strumentali attacchi subiti, e così pure i singoli appartenenti all’Ordine professionale. Come, appunto, Fiorini Morosini “giornalista”. Che poi le due figure convergano in un’unica persona è assolutamente ovvio. Ma la prima è stata oggetto di un epiteto offensivo e ingiusto, la seconda dovrebbe solidarizzare col collega messo sotto attacco da una serie di “figuri” cui fa comodo.
“figuri” a cui fa comodo? ma quali figuri. il “sig” baldessarro sulla pelle degli altri ha detto una miriade di falsità trasformate in notizia, senza che abbia avuto mai la premura di accertare i fatti. si nasconde dietro il muro dell’anti ndrangheta e fa il grande giornalista, ma il vero mafioso è lui che decide chi è colpevole e chi innocente. fare il giornalista vuol dire ben altro. lei sig Meliadò vada ad intervistare tutte le persone che sono state vittima di questa squallida figura (baldessarro) senta le loro ragioni e solo dopo si potranno trarre delle informazioni. Solidarietà? spero di non essere mai vittima di quel tizio, di non rientrare in qualche farneticazione volta solo ad agevolare padroni e padroncini che vi governano.
Giuseppe malara
caro Giuseppe Malara, intanto chiedo scusa se rispondo con ritardo.
Naturalmente è risibile sostenere che il collega Peppe Baldessarro abbia “detto una miriade di falsità”: la sua storia e la sua professionalità parlano per lui, non ha bisogno sicuramente di “fare il grande giornalista”. E, almeno per quanto riguarda me, rinvio al mittente anche la sola idea di voler “agevolare padroni e padroncini”, con tutto il rispetto li avrai tu.
Soprattutto, ci tengo a ribadire con forza – e lo sottolineo anche alla Polizia postale e a chiunque altro leggesse questo post, a tutti i fini di ogni eventuale responsabilità penale… – che nessuno può permettersi, tanto più dalle colonne di questo blog, di stabilire che un’altra persona è “il vero mafioso”. In particolare, non può farlo se stiamo parlando di persona neanche indagata per alcun tipo di reato (tanto meno per mafia). Tanto più, non può farlo se stiamo parlando di una polemica mai finita e però nata, questo è interessante da evidenziare…, proprio perché spezzoni della Chiesa sarebbero, o sarebbero stati, secondo una frangia di fedeli e comunque una frangia d’opinione pubblica, troppo “teneri” e “garantisti”.
Doverosa poi una risposta ad altro commento di Giuseppe Malara, che riguarda il “caso” di don Nuccio Cannizzaro. E allora, ancòra una volta, ripetiamo l’a-b-c: qui non si consentono ingiurie verso nessuno, dunque di Peppe Baldessarro è impensabile scrivere “losco personaggio”, anche perché mai coinvolto in alcuna inchiesta. Al massimo, potrà non piacere come giornalista, per il modo di scrivere o di porgere le notizie. Quanto poi alla possibilità che il collega abbia scritto cose parzialmente non vere, il contributo alla verità da parte dei lettori o dei protagonisti di qualsiasi vicenda è la cosa più preziosa per qualsiasi giornalista degno di questo nome (e, beninteso, vale e varrà sempre anche per i lettori di questo blog).
Che le frasi di don Nuccio circa i costumi sessuali di altro, non nominato prelato (quand’anche non corrispondessero a ciò che il religioso realmente pensa in materia) fossero di assoluto interesse pubblico, lo dimostrano fiumi e fiumi d’inchiostro versato sull’opportunità che il sacerdote lasciasse o meno i propri incarichi.
Da ultimo, una postilla: ho ottimi rapporti personali con Peppe Baldessarro ma, se è per questo, anche con don Nuccio Cannizzaro. Il che naturalmente non mi esime da scrivere la verità, per quanto almeno di mia conoscenza. Il problema, Giuseppe, non sta dunque nella circostanza di essere o meno “amico” di questo o di quell’altro: semmai, nel fatto che né tu né altri che non siano il direttore di una testata per la quale lavoro potete assegnarmi un “compito” ma, al massimo, suggerire – come a qualsiasi altro giornalista o testata – qualche aspetto da approfondire giornalisticamente. Come ben vedi, non censuro i tuoi commenti. Ma ti faccio presente che ben due di questi contengono affermazioni sicuramente offensive e t’invito quindi a continuare a leggere e commentare questo blog, ma con termini sicuramente più consoni, nell’esprimere le tue idee.