Dell’Imu, della campagna elettorale e di altri dèmoni
Ok, riprendersi l’Imu, cioè la tassa sulla casa, cioè l’Ici, cioè….
…Ora, al di là del fatto terra-terra che se quest’imposta sulla casa esiste da 21 anni (è stata varata nel ’92 dal governo Amato) un motivo d’economia reale probabilmente ci sarà…, ci sono varie altre cose da chiedersi.
Una cosa non trascurabile: ma chi ha governato dal 1992 a oggi? Giuliano Amato (centrosinistra) fino al ’93, Carlo Azeglio Ciampi dal ’93 al ’94 (governo “tecnico”), poi Silvio Berlusconi (’94-’95, centrodestra: fu solo il primo dei 4 Governi durati quanto, come spesso rammenta il fondatore prima di Forza Italia e poi del Pdl, nemmeno i governi De Gasperi durarono), quindi Lamberto Dini (’95-’96, altro governo “tecnico”). Quindi Romano Prodi (1996-98, centrosinistra), Massimo D’Alema (’98-’99, centrosinistra), ancòra D’Alema (1999-2000, centrosinistra), nuovamente Amato (2000-01, questa volta da indipendente), quindi Berlusconi (2001-05). E poi terzo governo Berlusconi (2005-06) e di nuovo Prodi (2006-08), successivamente un altro quadriennio di Silvio Berlusconi (2008-11) e infine Mario Monti, in carica dal 2011. La cronologia di Palazzo Chigi ci dice dunque che per oltre 11 anni, 11 anni in cui gli immobili erano tassati, il Cavaliere avrebbe potuto evitare tale tassazione. E in effetti lo propose (ma solo nel 2006; poi sconfitto da Prodi) e poi la tolse (nel 2008), col piccolo dettaglio che l’esecutivo Monti nel 2011 fu costretto a rimettere un’imposta sulla casa, prima casa inclusa, per evitare il default del Paese. Non un grande bilancio in materia fiscale, ci sembra.
E poi, altra questione: come si fa a essere così generici su un ammanco da 4 miliardi di euro?
Si apprende che la Cdp (Cassa depositi e prestiti) “anticiperà” i soldi, in attesa che tornino circa 20 miliardi da conti svizzeri in cui sarebbero parcheggiati: dica l’Europa, prim’ancòra che gli elettori italiani, se è un modo serio in cui qualsiasi forza politica responsabile possa considerare i bilanci di un Paese che non 40 anni fa, ma l’anno scorso (dopo gli ultimi 4 anni di “cura Berlusconi”, per inciso) era dato concordemente per spacciato da tutti i maggiori analisti e le principali agenzie di rating del pianeta. Non c’è grande spazio di manovra per ricordare un principio ferreo per ogni partito con minimo senso delle istituzioni: a fronte di uscite certe, servono entrate altrettanto certe (a meno che il centrodestra non si sia “preso invidia” di alcune forze, minoritarie almeno fin qui, che chiedono di non aver più il vincolo del pareggio di bilancio, col pregevole risultato di piombarci nelle condizioni non della Grecia delle rivolte nelle strade, ma direttamente dell’Argentina di Jorge Rafael Videla Redondo, insomma dell’Argentina “dei colonnelli”).
Sebbene questa detassazione possa teoricamente coincidere con le propugnate politiche liberiste (più che altro “parlate”, molto meno operate…, dal centrodestra in questi 11 anni alle redini del Paese), non si può barattare una vittoria elettorale con l’impoverimento reale del nostro Paese.
La questione che preme a noi e ai lungimiranti tra gli italiani (non necessariamente agli elettori del Pdl, non per forza “a chi voterà per un altro partito”) è esclusivamente questa. Per il resto, se vincerà, Silvio Berlusconi o chi siederà sul gradone più alto di Palazzo Chigi potrà sicuramente operare le politiche fiscali, economiche, occupazionali, monetarie preferite. Ma, per pietà!, a saldi di bilancio invariati.