Centrale a carbone di Saline Joniche, la Regione si ricompatta e dice “no”
Alla fine, a Palazzo Campanella è arrivato il “no” alla centrale a carbone “pulito” che la società italo-svizzera Sei ha programmato a Saline Joniche e ha da poco incassato l’ok del Governo, tramite decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri a firma congiunta Monti-Clini, rispetto alla Valutazione d’impatto ambientale favorevole all’impianto.
E’ stato un no simultaneamente scontato e sofferto… Scontato, perché non esisteva neppure una possibilità su un miliardo che la Regione smentisse se stessa, molti amministratori e uomini politici anche degli stessi colori della maggioranza (centrodestra) che sostiene la giunta Scopelliti. Ma anche sofferto, sì; perché il documento proposto dal capogruppo udc Alfonso Dattolo & C. prevedeva rispetto al “progetto Sei” una chiusura, per così dire, non proprio ermetica.
Al di là delle clausole di stile, tre erano i punti-chiave del documento proposto dai capigruppo del centrodestra e poi modificato e approvato a voti unanimi dal Consiglio regionale, cioè l’impegno nei confronti della Giunta regionale a: 1) predisporre un <progetto di sviluppo ancorato alla vocazione dei territori “de quo”> mediante i fondi Fas 2014-2020; 2) verificarne la procedibilità <attraverso la più ampia concertazione> con sindaci, istituzioni locali, sindacati e associazioni maggiormente rappresentative tramite audizioni nelle Commissioni consiliari competenti; 3) acclarare <in seguito alla verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dal Governo alla società Sei> la <sussistenza giuridica delle condizioni per procedere alla presentazione di un’apposita impugnazione del decreto d’autorizzazione rilasciato dal Governo>.
Ora… sul punto “3” (che nel documento è in realtà il secondo), in aula s’è ovviamente scatenato l’inferno. Intanto, perché – spiace che qualche elemento del centrodestra abbia finto di non accorgersene – nella forma e forse nella sostanza, la sua formulazione originaria sembrava incarnare il più classico dei “ni” al ricorso contro il contestato Dpcm, come dire: <Lo impugneremo solo se la Sei non avrà rispettato le prescrizioni, ma se le avrà rispettate la Centrale per noi si può fare>. Il centrosinistra molto opportunamente ha chiesto che si tornasse sui toni forse del <secco no> (= no “pregiudiziale”) che al governatore Peppe Scopelliti non piaceva, ma al tempo stesso con un’aliquota di chiarezza molto più significativa (<Sì, sì; no, no>, è stata la citazione dal sapore evangelico dell’ex presidente d’Assemblea Peppe Bova).
Un “distinguo” all’interno delle forze d’opposizione: mentre, chiarito il punto nodale del ricorso (la Regione s’è impegnata a proporlo entro il termine perentorio del 28 luglio), il centrosinistra ha accantonato velleitarismi che sarebbero risultati dannosi, convergendo sul documento presentato dalla maggioranza, approvato dunque all’unanimità, l’ex vicepresidente della Giunta regionale Nicola Adamo ha chiarito di non partecipare al voto. Un modo polemico per sottolineare che non erano stati tenuti adeguatamente in conto i suoi rilievi: non ultimo, il fatto che <se facciamo ricorso e lo perdiamo, poi la Regione avrà perso per sempre diritto di parola sulla questione>.