….”cosa Sua”! Chi non vuole appalti trasparenti & efficienti in Calabria??
Ma chi è che “davvero” danneggia la trasparenza negli appalti e la razionalizzazione d’importanti economie di scala sul fronte pubblico, in Calabria?
La domanda è solo apparentemente peregrina: in realtà, prende spunto dalla cronaca. Già, perché in questi giorni, in seguito ad alcuni importantissimi arresti che hanno inciso nel profondo sugli equilibri mafiosi e paramafiosi nella zona Sud della città (cosche Borghetto-Zindato-Libri), insieme alla riflessione sulla sorprendente (??) reviviscenza dei potenti legami ‘ndrangheta-politica-affari, sono finite sotto la lente alcune preoccupanti infiltrazioni mafiose quanto ad alcuni appalti pubblici. Nonché gli appetiti di un presunto white collar: l’ingegner Demetrio Cento che – tra l’altro – in alcune intercettazioni con personaggi non particolarmente commendevoli si preoccupava di come poter arraffare questa e quella gestione (in questione, centri ricreativi etc.). Rispetto a tutto ciò, sarebbe stato facilitato – tutto da appurare, of course – dal legame con l’assessore comunale alle Politiche sociali Tilde Minasi, già candidata alle Regionali di marzo.
Ora, accade che molti punti interrogativi abbiano riguardato – ad opera di questo o quell’osservatore – la capacità di screening e d’effettivo controllo in capo alla Sua o alla Suap (rispettivamente, Stazione unica appaltante ovvero lo stesso organismo di rango non regionale, ma provinciale).
Per una volta, a un quesito questo blog risponde …con altri due punti interrogativi: cosa pensa di fare l’Ordine degli ingegneri, nelle more di un processo che ci si attende di consueta lentezza, nei confronti del suo “pregevole” iscritto? E poi: già, chi è che veramente non ha a cuore le capacità di screening della Sua?
Facciamo qualche passo indietro….
Giusto quando aveva preso la velocità di crociera e fatto risparmiare alla Regione quasi 70 milioni di euro in un colpo solo, la Stazione unica appaltante si ritrova con una notevole “grana” da sbrogliare: bisognerà cambiare le modalità per finanziarla. L’ha deciso il Governo, impugnando la norma vigente.
La vecchia consiliatura, per la Sua, s’era chiusa con un “giallo”: in campagna elettorale, l’oggi Governatore Giuseppe Scopelliti ne aveva infatti asserito la conclamata inutilità, dicendosi intenzionato – una volta eletto – ad abolire l’organismo guidato dal commissario Salvo Boemi (per lunghi anni, fra i più determinati magistrati d’Italia “in prima linea” contro le cosche: vedi foto).
Tutto rientrato all’inizio del mandato di Scopelliti: proprio grazie alla Sua, a seguito del bando di gara unica regionale «a procedura aperta con modalità telematica per la fornitura triennale di farmaci, emoderivati, soluzioni galeniche e infusionali, mezzi di contrasto per le Aziende sanitarie e ospedaliere» la Regione ha risparmiato 69,2 milioni di euro a fronte di una base d’asta poco sotto il mezzo miliardo (498,8 milioni), con l’aggiudicazione dell’84,33% dei 2.074 lotti omogenei disegnati in ambito regionale. Una performance «mai registrata fin qui», in termini di razionalizzazione ed efficienza della spesa di settore.
Due dati su tutti: 1) lo stesso risparmio programmato nel Piano di rientro dal debito in Sanità è stato superato di 17,3 milioni di euro (+ 33,3%), e 2) per la prima volta i prezzi d’aggiudicazione sono risultati uniformi sull’intero scenario calabrese.
Proprio il Piano di rientro adottato dalla Giunta regionale – al tempo, guidata da Agazio Loiero – con delibera n. 845 del 16 dicembre 2009 preannunciava però che entro fine 2010 un’ulteriore decisione dell’esecutivo avrebbe modificato lo strumento di finanziamento della Stazione unica appaltante, delineando «un budget prefissato» per il suo funzionamento e non più un’incognita, variabile in relazione a numero e importi degli appalti esaminati.
La legge regionale n. 16, varata nel luglio scorso, sancì che «per tutto il periodo d’attuazione del piano di rientro», i modi per finanziare la Stazione unica appaltante sarebbero stati definiti dalla Giunta, «anche in deroga» al primo comma dell’art. 10 della legge regionale 26/2007, «con gli oneri a carico del fondo sanitario regionale».
Parliamo della legge che, il 7 dicembre di tre anni fa, istituì la Sua: l’art. 10, normando il funzionamento di Stazione unica e Osservatorio, prevedeva che per fronteggiare spese d’organizzazione e di funzionamento si destinasse l’1% dell’importo d’ogni singola gara e che per l’eventuale spesa «eccedente le entrate» si provvedesse con fondi della Regione.
Senonché, il 17 settembre scorso il Consiglio dei ministri – su proposta del ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto – ha impugnato la “legge 16”, ritenuta illegittima nella parte in cui sancisce «impegni di spesa che non sono in linea con quanto disposto nel Piano di rientro». Ad avviso del Governo centrale, vi risulterebbero violati «i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione», che sancisce come «tutela della salute» e «armonizzazione dei bilanci pubblici» rientrino tra le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni.
La ritenuta incostituzionalità deriverebbe dalla mancata chiarezza sui «criteri che la Giunta dovrà seguire nella definizione del finanziamento» e intorno alle «condizioni che possano permettere la deroga» alla “legge 26”.
Adesso bisognerà dunque ridefinire legislativamente il tema.
Questione spinosa, a pensare che nel solo 2009 l’organismo guidato dal commissario Boemi ha vagliato 1.015 gare d’appalto per un controvalore da 660 milioni di euro, malgrado la perdurante mancanza di una sede e una lamentata scopertura d’organico pari a 98 unità su 120, cioè l’81,6% del totale: solo 22, secondo gli ultimi dati diffusi, i dipendenti regionali in forza alla Stazione unica.